The clash - Lo scontro
Storie di lotte e di conflitti


Dall'esperienza di Laspro - rivista di letteratura, arti & mestieri, 11 storie che raccontano di un'Italia non pacificata, che attraversano le resistenze individuali e collettive alla paura, alle violenze, agli abusi dei tanti poteri. Racconti che dalle ceneri degli anni Zero fanno scorgere degli anni Dieci che sono tutti da giocare.

Racconti di Marino Buzzi, Marco Capoccetti Boccia, Dario Falconi, Cristian Giodice, Luigi Lorusso, Lisa Mazzieri, Silvia Mericone, Luca Palumbo, Marco Philopat & Duka, Guido Tobia, Michele Turazzi.
I PENSIERI DEL LUPO
di Guido Tobia

Wolf begins

Questa è la storia di un animale.

È difficile dire cosa pensa un animale, perchè i suoi, non sono proprio pensieri, ma, più che altro, impressioni.

Si muove in ambienti che sente estranei, non stringe rapporti con altri individui, è soggetto alle interferenze che le situazioni del momento gli pongono davanti.

Può iniziare un brandello di pensiero, fermarsi per una pozzanghera e interromperlo, essere distratto da uno sguardo, non riuscire a concentrarsi e muoversi meccanicamente alla ricerca di cibo.

Così a questo animale distratto, spesso, sfuggono le prede, si sente solo e inutile ed è quasi sempre sulla difensiva.

Questo animale in via di estinzione è il lupo.

Il lupo sarebbe in grado di pensare, di produrre una coscienza di sè, come un riflesso in uno specchio, e perfino di concepire una vita spirituale nei sogni e nei rari momenti di pace e appagamento.

Nell’immaginario collettivo, si degli umani, intendo, il lupo si presenta feroce, robusto, crudele, carnivoro, infido, vigliacco, predone, sanguinario, grande e dal lungo pelo, famelico di fame insaziabile.

Beh, io ne ho conosciuti di magri, forti ma fedeli, solitari ma buoni, socievoli e pronti a giocare o a condividere il pasto con altri animali.

Essere lupi è innanzi tutto essere pronti a rinunciare a tutto, in qualsiasi momento, pronti a fuggire davanti alla canna lucente di una doppietta, a chi vuole premere il grilletto senza aspettare di guardarti negli occhi.

Ma sono sicuro che, se le battaglie si combattessero occhi negli occhi, il lupo, le vincerebbe sempre tutte........
……Ma il lupo non è l’agnello, a suo modo è pure lui un figlio di puttana.

Ha un gran fiuto. Quando gli altri animali ti guardano con sospetto, come un estraneo, devi fiutare il pericolo, sapere se in mezzo a venti umani in giacca e cravatta, c’è chi ha una pistola nella fondina. Devi percepire la paura negli altri, il disagio, l’agitazione, la voglia di avvicinarti e, pure in anticipo, devi percepire la voglia di respingerti.
Così il lupo, la sera, quando si trova ad essere da solo, si addormenta e sogna.
E cosa sogna il lupo? Di sbranare un agnellino o un cerbiatto, certo, forse, anche, a volte.
Ma posso assicurarvi che più spesso un lupo sogna di essere accarezzato sulla testa come un cucciolo randagio, di bere acqua limpida, di non infradicirsi nella pioggia, di non dovere maledire la luce del sole che lo rende così vulnerabile, di non dover cacciare nella notte e non dover rischiare la pelle per godere di un attimo di piacere rubato.
Un lupo, poi non tanto vecchio, mi confidò una volta che nella sua vita, quando erano venuti a mancare l’entusiasmo,il coraggio, la fede in se stesso, avrebbe voluto che un dio generoso e giocherellone lo trasformasse in bue, quadrupede dall’indole tranquilla e un bel paio di corna decorative, con tanto di mandria, vacche e vitellini.
Un’altra volta sognò di trasformarsi in cigno.
Mi confidò che il cigno era per lui animale vanesio ed effeminato.
Fu in quella occasione che si rese conto che avrebbe voluto essere ammirato e risplendere per il bianco del suo manto in mezzo a fatui volatili, al gracidare ciarliero dei rospi e al sibilare sbigottito delle bisce.
Pensò che quella era la vita e che quella era la via, perchè “virtù non luce in disadorno ammanto”. La via del lupo si perde nella foresta dei passi frenetici delle città, nelle grotte temporanee delle stazioni che attraversa, nelle gallerie della metropolitana, ogni uomo un animale con una storia diversa, creature in continuo mutamento, dove il certo e l’incerto non esistono e se esistono si fondono nell’attimo presente.
Un amore, un sorriso, un pianto, fotografare le anime negli occhi, e poi quando è sera tornare a casa, dove non piove, dove il cacciatore non arriva e si può ancora una volta tornare a dormire e a sognare di essere uguali agli altri.
……Pensieri come vagoni

per utilizzare un ambiente estraneo, ma variegato, mutevole e impersonale ma umano e ordinario, per scrivere come davanti ad un film in cui gli attori si muovono e nessuno interagisce con te. Va bene, estremamente bene. È una finestra sulla vita, ma non è la vita fino a quando qualcuno non ti rivolge la parola, una domanda, un tentativo di penetrazione. Anche l’attenzione degli altri può essere glissata con la concentrazione. Scrivo velocemente e in modo sconnesso in metropolitana, per stare dietro ai miei pensieri che si muovono davanti ai miei occhi come vagoni. Una narrazione realistica dà l’impressione al lettore di avere acquisito esperienza, di avere vissuto sul campo. Così, nel tempo, le cose lette o raccontate si sovrappongono ai ricordi e diventano indistinguibili da questi. Ma allora, lo scrittore, ha il diritto di modificare il modo di percepire la realtà del suo lettore? Beh diciamo che si interviene sull’apprendimento. Si stratificano processi cognitivi e modi di conoscenza dell’autore su quelli del lettore. L’apprendimento e l’insegnamento sono una approssimazione della realtà, una intuizione dell’altro e una immedesimazione reciproca, un po’ come un rapporto sessuale, in cui non si può essere sicuri di aver provato le stesse cose. Se la conoscenza rende liberi, allora l’alterità rende liberi. Liberi di provare emozioni e sensazioni che nella vita reale di chi legge sarebbero difficili da incontrare. Aprire la mente, fare entrare nella propria mente un altro individuo. A chi non è mai capitato di pensare: - Vorrei avere scritto io questo romanzo, questo racconto, queste parole!
Può anche succedere di vivere una situazione nel quotidiano che ci sembra di avere già vissuto semplicemente perchè l’abbiamo letta. Il cosiddetto déjà vu.



Esternazioni..
Penso che vorrei dire qualcosa a qualcuno.
La scrivo, perché sono solo e non c’è fisicamente nessuno. Anzi c’è un tipo che mi osserva dall’alto della mia spalla sinistra e che pensa che io voglia scrivere qualcosa sulla scrittura.
Leggere e scrivere sono due momenti per comunicare. Sono parole e frasi che arrivano lente, intatte come un’eco, senza sciuparsi nel trasporto che dura anche secoli e millenni.
Leggere per uscire fuori da se stessi, scrivere per parlare ad alcune parti del “sé”.
Non riesco a mettere in fila tutti i pensieri con ordine. Mi lascio più guidare dalle emozioni, quando scrivo come il dio che ho dentro mi comanda.
Ho invece un approccio razionale alla lettura, nei primi momenti almeno, come quando conosco una persona nuova. La ascolto, studio le parole che usa, che percorsi vuol farmi imboccare per arrivare al nocciolo di una questione, se intende veramente comunicare e mettersi in relazione con me o solamente esporre dei fatti senza guardarmi negli occhi, senza far trasparire le cose in cui crede e scoprire il sentimento che tutti abbiamo e che molti purtroppo tendono a buttare nella spazzatura.
Quando io scrivo parlo essenzialmente a me stesso; me ne infischio di quello che pensano o che penseranno gli altri. Questo ha innanzi tutto il vantaggio di sentirsi liberi di poter dire tutto in maniera espressa, forte e densa, senza dover dare spiegazioni.
Quando scrivo, dicevo, parlo essenzialmente con me stesso e, indiscutibilmente, lo faccio attraverso quello che ho letto. Attraverso, perché quando passi attraverso una buona lettura non sei più lo stesso. Hai il fango sulle scarpe e la polvere sugli occhi, il sudore di una notte di sesso e a volte un istinto suicida, ti senti schizofrenico e hai l’entusiasmo di un bambino. Ma follie a parte, qual è la buona lettura?
È come chiedere al cercatore d’oro:- Dove troverai la pepita?
Io so solo che non è tutto oro quel che luce e che all’acqua promettente e gelida del fiume, preferisco quella piatta e sterminata dell’oceano che lascia sulla spiaggia sassi colorati sotto il sole. Ognuno può scegliere quello che più gli piace, anche se gli altri non lo chiameranno oro.
Scrivere è poi anche rispondere a tutte le domande che ognuno di noi continuamente si pone di giorno, ma ancor più di notte; attraverso tutti quei sogni inspiegabili fatti di immagini, suoni, percezioni sensoriali ed extrasensoriali: paure, angosce, attrazione, rifiuto. Tutti ci poniamo domande e le domande non devono per forza avere un punto interrogativo alla fine. Fatti un giro per strada, in metropolitana, al parco, sulla spiaggia: c’è gente che fa all’amore, assassini, benpensanti e gente triste, malati, sciancati, sfortunati, managers, fighi e fighe, preti e poi bambini che sono sempre incognita e speranza.
Ciascuno di noi ha concetti preconfezionati su ogni categoria:- Lui sì che è fortunato! Guarda quello poverino, sembra così triste!
Risposte di seconda mano a domande che tutti ci facciamo.
Quando io scrivo desidero rivolgermi a quella parte di me che mi ha cercato, che mi ha fatto una domanda, in sogno, al lavoro, al cesso, nuova a cui non ho ancora risposto. Magari lo faccio scrivendo una poesia per una donna, un racconto con personaggi sconosciuti. In mezzo a quest’avventura incontro gli autori che ho letto, del passato, del presente, le donne che ho amato e quelle che avrei voluto amare e tutti ritornano come splendenti di luce. Quando, per magia, capita che uno di loro mi faccia una domanda e io rispondo come avrebbero risposto loro… facciamo la pace e magari non mi fanno più domande per un po’ di tempo. In definitiva è come averli digeriti, assimilati e qualche volta espulsi. Quelli che restano puoi chiamarli fantasmi, indigestioni o conflitti, ma il concetto non cambia. Altre volte si mantengono inalterati come stimoli che non hanno ancora esaurito la loro funzione di spiriti - guida come Virgilio o ti traghetteranno invece giù per qualche abisso incognito e oscuro come Caronte.
Altra notazione è che nella scrittura, a differenza delle arti visive dove l’esperimento risulterebbe stridente, è possibile stabilire un parallelo tra il tempo presente, breve della nostra vita e quello passato e immenso della Storia. Il pensiero dell’uomo è universale e parlare con Aristotele e Kant, leggere Saffo e subito dopo Leopardi, diventa un’esperienza rassicurante e quasi commovente che testimonia come tutti noi, viventi e non, apparteniamo allo stesso comparto umano che non ha ancora esaurito di stupirci con i misteri del suo sentire , con le sue insicurezze, con le sue fragilità e anche con le sue speranze e le sue precarie certezze.
L’uomo ha creato un Dio superiore, più grande e più forte di lui, da cui poter ricevere esempio per la sua condotta sulla terra e consolazione alla sua solitudine nell’universo.
Così questa idea di Dio piove su di noi le idee che condensano nell’aria e si rivelano in quei giocosi circuiti chiamati sinapsi. A sua volta l’uomo le rielabora, le compone e le restituisce come opera d’arte, opera filosofica, scoperta scientifica al cielo come prodotto dell’intelligenza individuale o di un gruppo di individui. Se poi vi è proporzione tra momento storico ed entità dell’intuizione si parla di invenzione o di scoperta; ma se questa proporzione è tutta a favore dell’idea, allora si parla di genio!
È in questo continuo e liquido ciclo delle idee, dal cielo alla terra e dalla terra al cielo, che si inserisce il fenomeno di percezione, assimilazione e trasformazione del pensiero che non segue spesso fatti contingenti, ma si muove su di una ruota più ampia, slegata dal tempo dei nostri orologi e legata al continuum delle successioni. Le generazioni di individui si succedono in una ruota. Chi aspira all’idea è al centro della ruota dentata, i cui denti sono formati dagli uomini del passato. Ciò che governa il movimento della ruota dentata è il tempo, che ognuno di noi percepisce in modo diverso. Così c’è chi avrà in premio la sua idea in pochi anni e c’è chi invece non la avrà mai.
Quando io scrivo cerco di rivolgermi ai denti della ruota, di poter parlare un linguaggio umano, comprensibile da ciascuno di essi in termini di emozioni, sim-patia e fratellanza.
Quando scrivo mi rivolgo al tempo e, in definitiva, a chi accorda i cuori di tutte le ruote, cioè a Dio.
Esternazioni
(Considerazioni su lettura e scrittura)

Penso che vorrei dire qualcosa a qualcuno.
La scrivo, perché sono solo e non c’è fisicamente nessuno. Anzi c’è un tipo che mi osserva dall’alto della mia spalla sinistra e che pensa che io voglia scrivere qualcosa sulla scrittura.
Leggere e scrivere sono due momenti per comunicare. Sono parole e frasi che arrivano lente, intatte come un’eco, senza sciuparsi nel trasporto che dura anche secoli e millenni.
Leggere per uscire fuori da se stessi, scrivere per parlare ad alcune parti del “sé”.
Non riesco a mettere in fila tutti i pensieri con ordine. Mi lascio più guidare dalle emozioni, quando scrivo come il dio che ho dentro mi comanda.
Ho invece un approccio razionale alla lettura, nei primi momenti almeno, come quando conosco una persona nuova. La ascolto, studio le parole che usa, che percorsi vuol farmi imboccare per arrivare al nocciolo di una questione, se intende veramente comunicare e mettersi in relazione con me o solamente esporre dei fatti senza guardarmi negli occhi, senza far trasparire le cose in cui crede e scoprire il sentimento che tutti abbiamo e che molti purtroppo tendono a buttare nella spazzatura.
Quando io scrivo parlo essenzialmente a me stesso; me ne infischio di quello che pensano o che penseranno gli altri. Questo ha innanzi tutto il vantaggio di sentirsi liberi di poter dire tutto in maniera espressa, forte e densa, senza dover dare spiegazioni.
Quando scrivo, dicevo, parlo essenzialmente con me stesso e, indiscutibilmente, lo faccio attraverso quello che ho letto. Attraverso, perché quando passi attraverso una buona lettura non sei più lo stesso. Hai il fango sulle scarpe e la polvere sugli occhi, il sudore di una notte di sesso e a volte un istinto suicida, ti senti schizofrenico e hai l’entusiasmo di un bambino. Ma follie a parte, qual è la buona lettura?
È come chiedere al cercatore d’oro:- Dove troverai la pepita?
Io so solo che non è tutto oro quel che luce e che all’acqua promettente e gelida del fiume, preferisco quella piatta e sterminata dell’oceano che lascia sulla spiaggia sassi colorati sotto il sole. Ognuno può scegliere quello che più gli piace, anche se gli altri non lo chiameranno oro.
Scrivere è poi anche rispondere a tutte le domande che ognuno di noi continuamente si pone di giorno, ma ancor più di notte; attraverso tutti quei sogni inspiegabili fatti di immagini, suoni, percezioni sensoriali ed extrasensoriali: paure, angosce, attrazione, rifiuto. Tutti ci poniamo domande e le domande non devono per forza avere un punto interrogativo alla fine. Fatti un giro per strada, in metropolitana, al parco, sulla spiaggia: c’è gente che fa all’amore, assassini, benpensanti e gente triste, malati, sciancati, sfortunati, managers, fighi e fighe, preti e poi bambini che sono sempre incognita e speranza.
Ciascuno di noi ha concetti preconfezionati su ogni categoria:- Lui sì che è fortunato! Guarda quello poverino, sembra così triste!
Risposte di seconda mano a domande che tutti ci facciamo.
Quando io scrivo desidero rivolgermi a quella parte di me che mi ha cercato, che mi ha fatto una domanda, in sogno, al lavoro, al cesso, nuova a cui non ho ancora risposto. Magari lo faccio scrivendo una poesia per una donna, un racconto con personaggi sconosciuti. In mezzo a quest’avventura incontro gli autori che ho letto, del passato, del presente, le donne che ho amato e quelle che avrei voluto amare e tutti ritornano come splendenti di luce. Quando, per magia, capita che uno di loro mi faccia una domanda e io rispondo come avrebbero risposto loro… facciamo la pace e magari non mi fanno più domande per un po’ di tempo. In definitiva è come averli digeriti, assimilati e qualche volta espulsi. Quelli che restano puoi chiamarli fantasmi, indigestioni o conflitti, ma il concetto non cambia. Altre volte si mantengono inalterati come stimoli che non hanno ancora esaurito la loro funzione di spiriti - guida come Virgilio o ti traghetteranno invece giù per qualche abisso incognito e oscuro come Caronte.
Altra notazione è che nella scrittura, a differenza delle arti visive dove l’esperimento risulterebbe stridente, è possibile stabilire un parallelo tra il tempo presente, breve della nostra vita e quello passato e immenso della Storia. Il pensiero dell’uomo è universale e parlare con Aristotele e Kant, leggere Saffo e subito dopo Leopardi, diventa un’esperienza rassicurante e quasi commovente che testimonia come tutti noi, viventi e non, apparteniamo allo stesso comparto umano che non ha ancora esaurito di stupirci con i misteri del suo sentire , con le sue insicurezze, con le sue fragilità e anche con le sue speranze e le sue precarie certezze.
L’uomo ha creato un Dio superiore, più grande e più forte di lui, da cui poter ricevere esempio per la sua condotta sulla terra e consolazione alla sua solitudine nell’universo.
Così questa idea di Dio piove su di noi le idee che condensano nell’aria e si rivelano in quei giocosi circuiti chiamati sinapsi. A sua volta l’uomo le rielabora, le compone e le restituisce come opera d’arte, opera filosofica, scoperta scientifica al cielo come prodotto dell’intelligenza individuale o di un gruppo di individui. Se poi vi è proporzione tra momento storico ed entità dell’intuizione si parla di invenzione o di scoperta; ma se questa proporzione è tutta a favore dell’idea, allora si parla di genio!
È in questo continuo e liquido ciclo delle idee, dal cielo alla terra e dalla terra al cielo, che si inserisce il fenomeno di percezione, assimilazione e trasformazione del pensiero che non segue spesso fatti contingenti, ma si muove su di una ruota più ampia, slegata dal tempo dei nostri orologi e legata al continuum delle successioni. Le generazioni di individui si succedono in una ruota. Chi aspira all’idea è al centro della ruota dentata, i cui denti sono formati dagli uomini del passato. Ciò che governa il movimento della ruota dentata è il tempo, che ognuno di noi percepisce in modo diverso. Così c’è chi avrà in premio la sua idea in pochi anni e c’è chi invece non la avrà mai.
Quando io scrivo cerco di rivolgermi ai denti della ruota, di poter parlare un linguaggio umano, comprensibile da ciascuno di essi in termini di emozioni, sim-patia e fratellanza.
Quando scrivo mi rivolgo al tempo e, in definitiva, a chi accorda i cuori di tutte le ruote, cioè a Dio.
“Maledette parole nuove”

di Guido Tobia


Introduzione

Le maledette parole nuove sono quelle che non riesci a trovare proprio quando ti servono.

Sono quelle che vorresti urlare in faccia alla vita, quando tutto sembra andare nella direzione sbagliata.

Sono anche quelle che vorresti sussurrare nell’orecchio di una donna splendida, che tu sai non ti noterà mai.

Così tu e le tue maledette parole nuove, infilate nelle tasche dei pantaloni, potete andarvene in riva al mare e respirare lo iodio tempestoso del maestrale, come fossero vapori aspri di cloro e rincorrere i gabbiani come fossero uccellacci forieri di sventure…

Oppure ?

Oppure, un giorno seduto al tavolino di un bar potresti scriverle le tue maledette parole nuove su un tovagliolo e lasciarle, accanto a un fiore, alla cameriera dolce e triste, che non guarda mai nessuno.

Qualche volta due lacrime sul mondo puliscono i cuori da tanta sporcizia.

Cos’altro…Una dedica a chi mi ha dotato di questo DNA fragile e mutante, ai miei genitori e alle mie donne, che come un fascio di rose mi regalano le immagini insieme al loro profumo.



Indice delle poesie:

Scrivere è vivere
Ora
In un nido verde
Regalandoci un sorriso
Il tuo sguardo
Il solco
Poesia
Sarò libero
Le tue dita di rosa
Mi sveglio
Sono un pagliaccio
La Musa
Le Fate
Gabbiani
Fuscelli al vento
Tango
Ci sarà
Solo il vento
Deserto di sale
Preghiera
Accenti tragici
Pace
Irripetibili storie
Impalpabile
Io sono il mare
Nella mia giacca
Donna
Metropoli
A piedi nudi
Anima bella
Noi
La ballerina e la foresta
Il soldato che tutti chiamavano Jesus
Poeta debole
Due poveri e le stelle
Poesia di sinistra
L'ultimo giorno
Io e te
Odor di mare
Ti incontro




Breve nota biografica

Mi chiamo Guido Tobia, sono nato a Erice-Trapani il 14 marzo 1974.
Dopo aver conseguito la maturità classica, mi sono laureato in odontoiatria e protesi dentaria presso l’università di Palermo.

Sono appassionato di letteratura. Ho scritto molti racconti, alcuni inediti, altri già pubblicati.

”Maledette parole nuove” è la prima silloge di poesie che ho deciso di dare alle stampe.
Ho frequentato nel biennio 2003-2004 i corsi di narrativa, sceneggiatura cinematografica e sceneggiatura del fumetto tenuti rispettivamente da Lidia Ravera, Andrea Purgatori e Roberto dal Prà, presso il Centro L.A.B. di Roma.

Sono arrivato tra i finalisti del concorso Subway Letteratura 2009 con il racconto “Argo” ed ho partecipato al Workshop organizzato da Laboratorio-E20 con il patrocinio del Comune di Milano “I mestieri del libro” sulla scrittura creativa e sulle professionalità che generano un libro.

Nel mese di maggio 2009 ho deciso di raccogliere in un unico scritto le mie riflessioni e i miei racconti.
“I PENSIERI DEL LUPO – Riflessioni e Racconti”, questo è il titolo dell’opera, attraverso l’alternarsi ordinato e coerente dei contenuti e degli argomenti trattati, è “….Un invito ad osservare il mondo e a considerare le cose che ci circondano da più punti di vista”.

Ho partecipato a diversi premi letterari (e continuo a farlo)..
Il più recente: "Il Racconto nel Cassetto 2011 - Premio Città di Villaricca".

A Trapani, dove vivo, lavoro e soprattutto.. scrivo, mi piace suonare la chitarra e comporre musica.

Sono autore di sceneggiature e testi teatrali.

Ecco i miei riferimenti:
e-mail: guidotobia@gmail.com
Cell.: 3476161477
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Mi sveglio


Mi sveglio,

appoggio le gialle piante dei piedi

su cocci di bocci rotti,

di vetri infranti, taglienti.

Diffondono e spargono

una qualche paura elettrica

su ferite sottili di pelli

già esangui.

Mi volto dunque

e ansimo per il letto scomparso,

per la livida debolezza

di quell’unico equilibrio

precario.


Mio Dio, come ho freddo

alle dita.

Gelidi ragni fremono e solcano

in centri concentrici l’aria

alla ricerca di un appiglio

possibile.

Guardami da lontano

anzi non più…scusa…scusa.

Ho foglie di fico

nelle mani raggrinzite

e livide ossa sporgenti

nelle braccia

legni nelle gambe

e ginocchia di ulivi saraceni

e buche rovinose tra le tibie

piedi riccioluti di vite

divelta sul campo nero di corvi.

Ho paura,

rifuggo i fetidi escrementi

della vita.

Non è rimasto che questo

di quello squallido amplesso.

Eppure io sono…

sì, io sono coi capelli

stoppie bruciate sulle tempie,

io sono con quel sibilo elettrico in gola,

io sono, flebile urlo nel vento

dai globi albuginei.

Non mi folgorerà

l’occhio congesto di Giove

né mi inghiottiranno

le fauci della zolla.

Rimarrò qui

angelo maledetto

diavolo graziato

naufrago

su questa crosta polverosa

a ricordare

e ricordare col mio fiato,

finché avrò fiato,

ciò che è stato.

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