Introduzione
Le maledette parole nuove sono quelle che non riesci a trovare proprio quando ti servono.
Sono quelle che vorresti urlare in faccia alla vita, quando tutto sembra andare nella direzione sbagliata.
Sono anche quelle che vorresti sussurrare nell’orecchio di una donna splendida, che tu sai non ti noterà mai.
Così tu e le tue maledette parole nuove, infilate nelle tasche dei pantaloni, potete andarvene in riva al mare e respirare lo iodio tempestoso del maestrale, come fossero vapori aspri di cloro e rincorrere i gabbiani come fossero uccellacci forieri di sventure…
Oppure ?
Oppure, un giorno seduto al tavolino di un bar potresti scriverle le tue maledette parole nuove su un tovagliolo e lasciarle, accanto a un fiore, alla cameriera dolce e triste, che non guarda mai nessuno.
Qualche volta due lacrime sul mondo puliscono i cuori da tanta sporcizia.
Cos’altro…Una dedica a chi mi ha dotato di questo DNA fragile e mutante, ai miei genitori e alle mie donne, che come un fascio di rose mi regalano le immagini insieme al loro profumo.
Maledette parole nuove
di Guido Tobia
Scrivere è vivere
Ora
In un nido verde
Regalandoci un sorriso
Il tuo sguardo
Il solco
Poesia
Sarò libero
Le tue dita di rosa
Mi sveglio
Sono un pagliaccio
La Musa
Le Fate
Gabbiani
Fuscelli al vento
Tango
Ci sarà
Solo il vento
Deserto di sale
Preghiera
Accenti tragici
Pace
Irripetibili storie
Impalpabile
Io sono il mare
Nella mia giacca
Donna
Metropoli
A piedi nudi
Anima bella
Noi
La ballerina e la foresta
Il soldato che tutti chiamavano Jesus
Poeta debole
Due poveri e le stelle
Poesia di sinistra
L'ultimo giorno
Io e te
Odor di mare
Ti incontro
Scrivere è vivere
Cerco ancora, perché non sono perso,
il segno lieve e fugace della tua mano,
gentile in acqua.
Creatura mi faccio in immersione
sugli echi marini dei granelli di sabbia
che potrebbero, è vero, graffiare.
Ma non qui
non nel mio cervello, virtuale campana di vetro,
squillo di troppe chiamate elettroniche.
Dita frenetiche
lasciatemi, lasciatemi.
Risuonano i timpani e cammino.
Chi sono? Che importa!
Non voglio essere visto.
Ho dita lunghe e lente;
nel mio viaggio diverranno radici
pronte e attente a suggere il vino della terra.
Pioverà, io lo so, pioverà.
Ora
Come l’aria che mi soffi in faccia
quando ti allontani da me e
ti volti dall’altro lato
io ho globuli di farfalle
e fantasie che sono gialle…ora.
Coglile come fiori,
petali che piovono…
infiniti,
come milioni di spermatozoi
e tenerezze nell’amore
dimenticate…
…raccolte.
Ora per sempre
sei dentro di me.
In un nido verde
Vorrei racchiudermi
in un nido verde
e germogliare insieme a te
Amore.
E rifuggire bagliori e luci al neon
degli sguardi più indiscreti.
Immobile trarrei dentro
l’aria che il mare mi suggerisce violento.
Invisibile
sarei il sogno per gli occhi
più dolci.
Piangerei allora, solo allora,
lacrime eterne.
Sarei fontana enorme
di commozione ritrovata.
Regalandoci un sorriso
Non siamo uomini da bracciali
non siamo uomini da catene
né da pendagli.
Siamo uomini
soli…con i nostri sbagli.
Ci guardiamo muti nella penombra
il pomeriggio che cala sul viso
io e mio padre
regalandoci un sorriso.
Il tuo sguardo
Ho nelle tue rughe sedimenti
d’emozione inesprimibile
come vibrar di palpebre
nell’ora che precede il risveglio.
Ho nelle tue rughe
le zolle della terra
il pulviscolo del sole
la salsedine del mare.
Ho sulla tua fronte
baci e ninne nanne
leggende miti e fantasie…mai stanche.
Ho sulle tue labbra
il coraggio di un sorriso,
trovo nel tuo sguardo
un me nascosto
all’improvviso.
Il solco
Sorrido all’acqua del ruscello
perché essa sai mi assomiglia.
Anch’io mi scorro dentro come
un fiume.
Scavo un solco leggero sulla terra
tutta la mia vita.
Poesia
La poesia
la istantanea di un istante
un suono ripetibile
una vibrazione giocosa
che riecheggia nell’aria
ora, domani, sempre…chissà.
Catturo, oculare attento,
i particolari di una festa.
Chissà per chi si celebra.
Scruto dal di fuori eppure …
sono dentro.
Mi guardo dai presenti:
ma chi sono!?
Eppure in ognuno di essi riconosco
un particolare familiare…
un gesto, un modo.
Ma cosa sono le risate e le danze
a quest’ora?
Perché?
È un mezzogiorno notturno
o è forse l’ora di ondeggiare nella vita?
E ognuno sa, ognuno va,
nei fumi della notte ebbra e serena
satura e carnosa…
Il mio oculare non è più sicuro ormai
che questa scena sia venuta bene, Dio mio!
Potrebbe essere l’ultima e di certo
non sarà la prima
Mi incuriosisce l’ordito di un abito scuro.
È lana
una maglia una rete una trama o è…
seta
un profumo, un incanto,
un sogno
desiderato a lungo,
riemerso come una marea,
riaffiorato come una roccia
da pupille dure e aguzze
delle uniformi dei miei giorni.
.
Sarò libero
Questa sera monto
un paio d’ali leggere.
Questa sera volo basso
e uccido tutte le chimere.
Le mie ali hanno un’apertura
a più di sessanta gradi.
Le mie ali fanno paura
perché hanno il volto dei drogati.
La mia ala ha il bordo tagliente
e fende bene il buio.
Io volo sotto la gente
e non ho mai visto Dio.
Ma io ho già deciso.
Un giorno brucerò le mie ali
sarà il giorno che sarò libero
e che correrò con gli animali.
Sarà un giorno di riscatto
ed io mi riscatterò.
Sarà un giorno di sole
e finalmente brucerò.
Le tue dita di rosa
Una musica antica
di suoni sconosciuti
ma forse veri e rappresi
in fondo all’anima
soffia ogni tanto
fra i tuoi capelli sottili.
Una musica che è silenzio
una musica che è ricordo
percepito e sussurrato
nell’orecchio gentile
della bambina che sei.
Tu che sei
anche se non vuoi
un po’ come noi,
anche se sei diversa.
E adesso?
E adesso che fai?
Ti giri e te ne vai
per piangere un po’
lacrime antiche
impalpabili e amare
come i segreti profondi del mare.
Resta e resterà
quella musica antica
che ci lancia la sua eco
lunga di millenni,
incendiata di stoppie
e spighe dalle lunghe dita d’oro.
Un attimo di eterno
che ci scintilla dentro
la voglia d’Infinito.
Mi sveglio
Mi sveglio,
appoggio le gialle piante dei piedi
su cocci di bocci rotti,
di vetri infranti, taglienti.
Diffondono e spargono
una qualche paura elettrica
su ferite sottili di pelli
già esangui.
Mi volto dunque
e ansimo per il letto scomparso,
per la livida debolezza
di quell’unico equilibrio
precario.
Mio Dio, come ho freddo
alle dita.
Gelidi ragni fremono e solcano
in centri concentrici l’aria
alla ricerca di un appiglio
possibile.
Guardami da lontano
anzi non più…scusa…scusa.
Ho foglie di fico
nelle mani raggrinzite
e livide ossa sporgenti
nelle braccia
legni nelle gambe
e ginocchia di ulivi saraceni
e buche rovinose tra le tibie
piedi riccioluti di vite
divelta sul campo nero di corvi.
Ho paura,
rifuggo i fetidi escrementi
della vita.
Non è rimasto che questo
di quello squallido amplesso.
Eppure io sono…
sì, io sono coi capelli
stoppie bruciate sulle tempie,
io sono con quel sibilo elettrico in gola,
io sono, flebile urlo nel vento
dai globi albuginei.
Non mi folgorerà
l’occhio congesto di Giove
né mi inghiottiranno
le fauci della zolla.
Rimarrò qui
angelo maledetto
diavolo graziato
naufrago
su questa crosta polverosa
a ricordare
e ricordare col mio fiato,
finché avrò fiato,
ciò che è stato.
Sono un pagliaccio
Sono un pagliaccio
che scioglie
le lacrime al sole
sopra l’alba profumata
di pini e magnolie
di un giorno nuovo.
Il naso rosso e grande brucia,
brucia dentro alla maschera buffa.
I presenti guardano
i più lontani ridono
i bambini piangono.
La luce sulla terra
adesso si fa bassa e brulla.
Non riesco a venir fuori
da questa mia ultima burla.
Vi avrei amato di più
se fossi stato diverso,
mi avreste aspettato
se aveste avuto più tempo.
Non mi importa, giuro.
Adesso vedrò Dio
e gli parlerò occhi negli occhi.
Sputerò dinanzi a lui
il sapore arsenico del viaggio…
Cercherò dietro il suo manto
se ha nascosto il mio miraggio
gli regalerò questi petali colorati
raccolti dalle dita
contratte in spasmi.
Gli porterò spot di luce serena
dei miei giorni andati
odorosi di mare e del profumo di lei.
Bacerò forte sulla sua bocca
i baci da mandare
al padre alla madre al fratello
che in questa vita mi furono compagni.
Gli toglierò l’aria con i miei baci
avvinghiandomi a lui.
Gli oscurerò per un attimo
la visione del Bene.
Gli presenterò, io serpente tentatore,
la sagoma del dubbio
in forma d’uomo.
La Musa
L’emozione del poeta è come
un umile eremita.
Abbandona la sua gente,
lascia indietro la sua vita
non dimore né castelli
luci ed ombre i suoi fratelli.
Un riflesso per sognare
melodie da sussurrare.
Fantasie, allucinazioni,
strani incubi, visioni.
Tutto il bene e tutto il male
come un’onda che ti assale.
Tutto il male e tutto il bene
e la Musa sopravviene.
Le Fate
Odo
leggero nell’aria
uno scalpitio di farfalla
che danza
viva
nella folla stagnante
dei miei pensieri,
marasma informe.
Proietto lontano le mie dimensioni,
sono forse soltanto due, credo?!
Ma entro
nel quadro grigio dell’alcool
e sfumo in anelli colorati
di cumuli aerei,
dapprima puntini
e sbiaditi contorni
di figure esitanti
sono stelle filanti…
Riprendo poi cartoncini da scolaretto
Mi rimetto in carreggiata.
Ma lascio lo zaino coi libri e i quaderni
sussidiari complementari
fondamentali sì…ordinari.
E tocco con mani di grande i capelli
e ravviso voluttà inaspettate
e ho vinto una volta soltanto
finalmente…le Fate.
Gabbiani
Pilastri della mia esistenza
così breve, così intensa,
vicini vi voglio
in un grande abbraccio
dal sapore di giglio,
come è solo l’amore
ai genitori di un figlio.
Non si muore nella mente
di un uomo.
Non si perde nel vento
Il sorriso di chi è più lontano
in viaggio verso cieli lontani,
portato via dai bianchi
gabbiani
esploratori solitari
dei nostri desideri.
Fuscelli al vento
Mi sento in debito, Signore
per ciò che è creato,
che mi hai regalato oggi,
che non ho apprezzato.
Sono giunto qui da lontano
con un viaggio travagliato
di bisacce sempre più vuote.
Ho trovato te e queste dolci pietre
che sono calde di sole,
ristoratrici delle mie membra
consunte.
I miei occhi, nomadi soldati,
dalla sabbia dell’angustia
ho dischiuso sui tuoi verdi campi
grazie all’acqua di fonti benedette.
Mi sono commosso nella mia solitudine
incontrando le mani e i volti di compagni
che mai avrei riconosciuto
fra i tuoi figli distratti.
Ho capito.
Adesso ho vibrato, fuscello di canna
che emetta suono al respiro
dell’anima del mondo.
Ho capito adesso
perché ho donato
l’energia taumaturgica dell’humus
alle molecole d’aria
che ho ritrovato
tiepida e dolce e sacra.
Tenderò l’orecchio seduto sulla spiaggia,
aspettando zefiri lievi
che mi riportino quel suono
di fuscelli al vento, chiamato
amore.
Tango
Spazzerò il camino dalle emozioni vecchie.
Ti scorgerò in fondo al velo d’acqua
cerchiato dai venti degli anni.
Avremo vent’anni per sempre…
Mi aiuterai a salire, Fata.
Tu che sei sospesa nel ritmo dei giorni
che non ti ho regalato.
Hai vissuto.
Ti ho persa e ritrovata
per legarti ancora in armonie
di tango e baci
e luci…
e taci. Adesso è tardi.
Parleremo come parlano
I danzatori argentini
protesi e assorti nella lotta dell’amore.
Mi lascerò condurre da te,
giovane gazzella scalpitante
calda di sangue e di passione.
Mi toglierò gli abiti che non è giusto
che io indossi.
Mi amerai? Così come sono?
Rispondi adesso o almeno prima
del mio tramonto.
Ci sarà
Ci sarà?
Anche per me ci sarà un cuore di paglia
che arda al fuoco del vento di scirocco?
Sì per me, anche per me
ci sarà un cuore di sabbia
che abbia suoni segreti di conchiglie
e custodisca nell’anima appartata
fiori di perle.
Oh come vorrei al mio fianco
un cuore di giada
che divenisse acqua
in cascate prorompenti di gaiezza.
E alla sera quando tramonta il sole
vorrei nel mio letto un cuore di stella
per cento ninne nanne
e sogni inconsapevoli.
Fuori dalla finestra c’è uno scultore,
scolpisce un cuore grigio di pietra,
più in là in una grotta
un falegname, sua moglie
aspetta un bimbo
che è già uomo,
Padre, figlio…
Nei campi a primavera
il miglio ondeggia,
ondeggia quel vecchietto alla stazione,
ondeggia il treno fermo in metropolitana.
Che aria strana!
Questa mattina accompagnerò
mio figlio a scuola, mano nella mano,
si volta piano, mi guarda
e mi regala un sorriso.
In lui c’è un po’ di giada,
un po’ di falegname
e un po’ di stella
Non ho chiaro tutto il resto,
ma la vita deve esser quella.
Solo il vento
Non voglio più
cercare dentro gli angoli bui
barlumi di candele.
Né voglio più sentire
nel vento sventolare
bandiere nere.
Ho voglia solo
di ascoltare le voci
del passato racchiuse
dentro ai ciottoli,
nei fossi, al greto.
Ho voglia di immaginare
magnifici orizzonti di
donne e uomini
dagli occhi neri e densi
dalle mani nude e dure
dai cuori di cristallo.
Ho voglia di ricercare
i segni dentro alle carni
tatuate dalla fede.
Ho voglia di guardare tutti noi
e per una volta sentire
solo il vento.
Deserto di sale
In un’ora funesta perduta nel tempo
qualcuno è chinato dinanzi all’altare,
pellegrino che giunge senza parole
viaggiatore solingo emerso dal mare.
Attraverso il deserto, deserto di sale
fra riflessi e bagliori è venuto a pregare,
il capo riverso sul collo possente
fra fulgide chiome una luce tagliente.
Ha grevi le mani, pesanti le braccia
Misterioso guerriero che oscura la faccia.
Di ciò che lo fece nessuno ha memoria
ma sulla sua schiena c’è tutta la storia.
Una stella al contrario in mezzo ad un cerchio
dannato guerriero del male è lo specchio.
All’altare di Ade è venuto a implorare
così che la morte lo possa salvare.
Eros ha ucciso, dio dell’amore,
angoscia e rimorso gli straziano il cuore:
Ha solo una pena
“Aeternus november
in solitudine semper et semper”.
Preghiera
E la pace sia
tra le mie e le mani vostre
libere e legate
in trame d’acqua e incontri di luce.
Il popolo degli uomini piccoli
sarà pianta d’ulivo.
Il vento lascerà le anime nostre
e andrà a rincorrere fantasmi azzurri
e maledetti.
Pregherei allora
per una volta il mare
che non sommerga
i figli di Dio
per renderli
pesci muti e
inconsapevoli.
Respiri d’aria
implorerei, godendo
del profumo della
mia donna accanto.
Aspetterei seduto
su una sedia scura di legno antico
il marcire dei frutti dell’albero di mele
finiti sulla terra.
Lì dove cadrà il male…
mille fiori nasceranno.
Accenti tragici
Accenti tragici:
tutto ci spinge al movimento…
i petali dei fiori
il freddo passeggero
dell’inverno.
Sarebbe bello
se ogni poesia
finisse lì
dove è iniziata
per congelare risa e nuvole
e sguardi intensi.
Il fragore del volo dei piccioni
sulla piazza
che ci protegge
che racchiude le nostre vite
e le illumina come dai riflettori
di un palco
e la platea è il mondo…
Sentirsi unici!
Irripetibili punti che si inseguono
io e te.
Giocare a rincorrerci nell’erba
cogliere fiori al volo
come denti di drago che
sbocciano
sull’orlo di un abisso…
E poi nel petto a sera
sentire ancora
il sibilo di un grillo canterino
che ci ricordi le nostre fatiche
dell’Amore.
Resterà il calore e l’umore
intenso e inconfondibile
di noi
e l’argento dei capelli
e il miele negli occhi tuoi.
Pace
Prendimi fra le tue braccia
Gesù
ché sono stanco e vuoto
come cencio e lino grezzo
per nulla raffinato nel tempo della vita.
Accogli Nazareno in mani giunte
l’uomo che sulle spalle
ha un po’ della tua Croce.
Pace!
Pace!
Nel deserto vorrei cercare
il rovo ardente
e con coraggio disperato
fra la polvere trovare i segni
dei tuoi comandamenti.
Un vento rovinoso acceca gli occhi
solo all’uomo che non vuol vedere.
Vero?
O Signore,
cade in terra solo
chi nella discesa non misuri il passo,
E’ così ?
Son sepolto, ricoperto dalla sabbia.
Ascolto i battiti che ho dentro
come ticchettio che ambisce
a diventare eterno.
Sono una statua di sale
l’angoscia mi assale.
Tu non mi ascolti?
Sono un oggetto
un cumulo d’asfalto
nient’altro.
Hai già un profeta
da regalare al mio tempo infelice?
Pace!
Pace!
Soli siamo tutti sulla terra,
gli angeli ci guardano dall’alto.
Tacciono.
Ogni tanto mi sembra di vederne uno.
L’amore che ci unisce gli uni agli altri
è un fuoco che ci scioglie
e che ci assedia.
Vorremmo liberarci e non possiamo,
e quando ci riusciamo
non sappiamo più
che cosa sia un uomo.
Irripetibili storie
Irripetibili storie,
storie che non racconterò
chitarre spagnole dalle corde
sfibrate, nei legni già sordi,
mi parlano.
Ascolto
di amori impossibili e veri,
di mari d’autunno
di mali d’inverno
di semi che cadono
portati dal vento lontano,
cullati piano e spinti
come uomini in corsa che sciamano
in piazza alla domenica
come api in preghiera
assordanti.
Mi siedo a guardarli.
Passano veloci, mi urtano
non si accorgono di me,
mi spingono con loro,
son lento, allora spiccano
salti, balzano sulla mia testa,
impazziti sorridono e volano
come aeroplani di gioia, fumo e
nuvole.
Spermatozoi irrequieti
fecondano il futuro
con le loro incertezze.
Non mi resta che tornare all’aratro
sperando che un seme d’uomo
piova dal cielo
nel solco che ho tracciato.
Impalpabile
Impalpabile, impalpabile
sei come le nuvole.
Imprendibile come neve
che si scioglie e ti fa aver paura
dei suoi fiocchi,
dei suoi tocchi, dei tuoi occhi
che mi fanno arrossire
ed esser uomo, come un
melograno che maturi
troppo in fretta
e si spacchi infine
per lasciare semi nudi sulla
terra
infeconda e brulla se tu
non ci sei.
I tuoi guanti di pelle,
il tuo rossetto, il basco, la gonna
corta, l’ombrellino…
C’è una donna dietro questo?
C’è un essere che dice d’essere
diverso…e pure è uguale.
C’è un profumo intenso
di fiori di bosco e di foglie
calpestate e di funghi odorosi.
C’è nei momenti dei tuoi intimi
respiri, una pelle di latte
che sgorga irruente dal seno
di Venere.
C’è fra le tue dita
la Vita e la cenere,
c’è nei tuoi passi una
distanza eterna
e suoni e alternanze che non son
terreni.
Poi cosa fai, creatura?
Ti giri e vieni e ci ripensi
e mi vorresti forse baciare?
Fuori piove.
Una nuova galassia esploderà
prima di divenir per sempre
un buco nero.
E’ fitto e misterioso
il nero dei tuoi occhi.
Fuori piove.
Gocce pesanti
come acini d’uva da vino
nelle nostre estati
passate a raccontarci.
Salutarci a presto.
Il violinista ha spezzato le sue corde,
i cavalli scalpitano nelle scuderie,
le briglie e i freni tirano sui morsi
e il sangue sgorga rosso dalla frusta,
dai miei occhi umidi di pioggia
dai tuoi, ormai invisibili,
impalpabili come la neve.
Io sono il mare
Mi dicono,
i soggetti dei sogni mi parlano
fiumi di parole
in ogni fiume mille gocce
in ogni goccia ci sei tu.
Hai il viso radioso e sorridi
di un sorriso chiaro
che non vorrei perdere mai
nella mia memoria di vecchio…
nei miei momenti e nei giorni peggiori.
Per me è nascere a nuova vita,
è battezzarsi nell’aria del cielo
rinnovarsi la pelle
arrestare…il respiro!
Perché sorridi, donna, mio specchio?
Ad un vecchio sorridi, lo sai?
che risponderti non può
perché risposte non ha.
Le risposte e le domande
sono oggetti divini,
i soggetti dei sogni profondi;
e allora vi cerco e vi trovo
senza scindervi le une dalle altre
domande e risposte
dentro agli oceani,
in riva al mare,
nelle mie mani dure di sale
e nella risacca odorosa.
Rosa gentile,
t’immagino dunque in fondo al mare.
Io sono il mare
Ti proteggerò.
Nella mia giacca…
Nella mia giacca di pelle
custodirò tutte le mie memorie,
cinque o sei biglietti, orli di carta,
quel che resta dei miei cinema.
Non è una roba lunga, come dicono a Milano,
giorni senza parole
col sole in fronte, incespicati
l’uno dietro l’altro
come le scarpe slacciate dei barboni.
I treni che fischiano
le studentesse sorridono, partono
e con loro parte un po’ della mia anima.
La stazione centrale
e le passeggiate notturne e senza fretta
con gli odori umidi e i giardini
del tempio monumentale dei defunti.
Penso allora ai garofani e…sono allegro
come chi si veste elegante per quella strana festa
che è l’ultimo giorno.
La notte è così…
l’ultimo atto dell’ultimo giorno.
Domani è una parola grande,
i bigliettini non più di cinque o sei.
Se il cielo diventa rosso questa sera
anche il settimo verrà…
Domani,
quando io non sarò più.
Donna
Il giglio bianco della notte
mi sboccia tra le mani.
Una goccia che cade dal mio viso bagnato
l’illumina di blu, quel fiore sei tu.
Sei nata nuovamente a nuova vita
araba fenice, ninfea del lago dei sogni.
Sei nata e sei qui, fiore tenace del deserto
e addentri con forza le radici
nel mio petto di carne.
Carne son le tue labbra vermiglie
abissi di profondità i tuoi occhi
complici e pronti al piacere.
Il piacere mi tiene per il collo
come un gattino cieco alla ricerca
del ventre materno…
Potrebbe essere la morte,
tu potresti essere la mia fine.
Gioco sottile, disperato, segreto.
Non voglio sapere adesso
se morirò perso
nella tua carne
o dentro alla mia.
Metropoli
Il teatro mi dà la suggestione del bianco e del nero
del trucco tragico spalmato crudelmente
sui volti degli attori.
I registi sono pazzi!
Gli autori sono pazzi!
Gli attori sono i saggi
che sorreggono queste colonne di follia.
Malgrado tutto, col cuore in gola,
sbagliando magari le pause.
Perché così è, perché così a loro piace!
E noi?
Noi che guardiamo questa bolla sotto vuoto dal di fuori?
Noi che impotenti scuotiamo sui vetri pugni di rabbia?
A noi cui è stata affidata la terra
perché ci potessimo arrostire sopra?
Vorremmo avere in Serbo delle idee
e in Arabo, Francese, Sanscrito e Aramaico
che non siano solo cibarsi e lottare
e uccidersi l’un l’altro
e scavare case-gallerie
che si incrociano nei vicoli del mondo.
Ho il cuore nero e rosso-sangue
racchiuso in una morsa incomprensibile.
Ho una casa-tana
un’ ora d’aria malsana
pensieri-scarafaggi e
topi intrappolati nelle scarpe.
Taglio, recido
io giardiniere di rose rosse
una vena sottile.
Nulla esce più.
Il mio sangue davvero
ha lasciato il mio corpo
già prima di me.
A piedi nudi
Allora è tutto chiaro,
la vita semplice,
l’irragionevole sensazione di essere
quando ogni ora, ogni istante
stendi le tue mani innanzi;
coppa divengono le chiare palme
di un rivolo di sangue, sudore
non importa.
Vorresti annientarti e passeggiare
per raggiungere al di là dell’orizzonte
stormi di uccelli migratori
felici
immaginari.
E dunque andare a piedi nudi
fra le spine,
dove nessun sentiero esiste
dove la ragione è una parola
vuota.
Io non sono nessuno,
sarò uomo, marito, prete o ladro
se lo vuoi.
Ma ti prego,
fa’ che piova su di me
una goccia ancora
che mi attraversi come una spada
la schiena di ghiaccio ancora,
che mi contorca tutto
e mi trasformi nella notte
ancora
e che mi accechi nel giorno
e mi ristori di una luce
più luce del sole,
ancora,
che mi risuoni dentro
e che mi faccia cavo
come pergamena sottile di zampogna…
Goccia che cade sulla roccia
non è il nulla.
E’ solo l’eco lunga del mio
digiuno amore.
Anima bella
Anima sensibile
Anima difficile
Anima che ti ho persa
Anima che ritrovo
dentro al tuo sguardo terso.
Anima che mi rimproveri
Anima che perdoni.
Anima che punisci,
lacrime che consoli.
Anima che vieni innanzi
nella notte
con cento braccia
di bambine in festa.
Voci che ho nella testa
venti che soffiano
in silenzio.
Pagherei, se potessi,
mille e cento notti
d’estate
col canto di un grillo.
Regalerei per sempre
il rumore del mare.
Direi a mio figlio
che non ha più un padre
e al mio padre in cielo
che non ho più pace
se porto la croce
e tu non ci sei.
Anima che non sei niente
se siamo due metà
Anima che non respiri
come quando baci
come quando aspetti
la fine del mondo.
Anima che sei fragile
Anima senza parole
Anima che sbuffa in aria
tutti i pensieri che non vuole.
Anima,
io però sento ancora il mare
picchiare dentro al cuore
da laggiù
dalla mia terra lontana.
Vola una falena
là lungo la marina,
la risacca danza piano
come una ballerina.
Ho una scarpa sciolta,
mi abbasso piano piano
l’onda è andata adesso.
Anima bella,
nell’acqua calma
anche il cuore si ferma
ti ritrovo intatta
sei il bagliore di una stella.
Noi
Mi piacciono le parole che usi
anche se a volte sono luoghi comuni,
mi piace ascoltarle nelle orecchie
scoppiettanti
come gusci pieni di gioia.
E mi piace il fuoco che brucia nei tuoi occhi
quando il tuo cuore parla con me.
Le scintille e i campanelli d’allarme
con cui ogni tanto tu misuri il mondo
li ho conosciuti come sassi
che d’improvviso intralciano il cammino.
Poi ho bevuto alla fonte
della tua pelle fresca
e ho mangiato il pane caldo
del tuo ventre.
Ad occhi chiusi nell’anima segreta
ho letto che non esiste il futuro,
che non esiste il destino
che siamo solo io e te
mano nella mano.
Alla fine del sentiero io laverò i tuoi piedi,
dopo cent’anni solleverò lo sguardo;
né giovani né vecchi saremo ancora noi.
La ballerina e la foresta
Silenzio, ti circonda il silenzio.
Pausa, quatre.
Secondo movimento.
Silenzio, ti circonda il silenzio.
Sottobosco fitto,
le foglie e il fango sui tuoi piedi bianchi
di mantide religiosa.
Un, deux, trois
un, deux, trois, quatre.
Non si vedono le nuvole,
neanche ad alzare gli occhi.
Non riescono bene i tour-en-l’air,
ma non importa.
L’aria è immobile, leggera,
le piante rampicanti ti osservano…
vorrebbero prenderti e rapirti.
Un, deux, trois
un, deux, trois.
Tu ti muovi…quatre!
Ti fermi ed apri gli occhi.
C’ è qualcosa, lì nella foresta,
non importa…
Un, deux, trois
un, deux, trois
nel silenzio ho trovato qualcosa
nel silenzio ho capito chi eri…
quatre!
Chi?
Gli insetti brulicano intorno
al mondo dei tuoi piedi.
Potessi io rampicante
scambiare la mia linfa con la tua
la morte ci coglierebbe
e resteremmo lì, sepolti nella vita!
Non si vede il cielo…
solo alberi fitti
resto lì a guardare,
giaguaro predatore di scimmie.
Un, deux, trois
un, deux, trois.
Solo movimenti di foglie e gocce,
stille di donna
quatre!
Je t’aime ritmo tribale
je t’aime etoile carnale
quatre!
Chi è là, chi c’è ?
Silenzio, ruggisco e scappo
continua, ti prego, a danzare
je t’aime.
Il soldato che tutti chiamavano Jesus
Veniva dalle colline il soldato dagli occhiali,
il figlio di contadini che tutti chiamavano Jesus.
Nel sud del Libano, lui che aveva studiato,
era di guardia con scarponi e mitra.
Aveva moglie Jesus, quando conobbe Jamila
ancora nessuno lo chiamava così.
Faceva la guardia, Jesus,
professore di storia, ai suoi pensieri,
più alti degli uccelli in cielo, dei colpi di cannone
che in un sibilo ti sfondano il cervello.
Fumo e cenere, sigarette pensieri e parole
nella radio da campo che diventava sorella per un giorno…
Jamila…i suoi capelli ricci e umidi giacevano
in guanciali e lenzuola che levatrici attente
preparavano per attimi imminenti.
Non lui, non lui: gli toccava il verde del suo esercito,
il color sabbia di una distinta uniforme, nemica
se un giorno di sotto all’elmetto l’avesse vista
comparire all’alba nel deserto.
I colpi di artiglieria ti mettono paura,
poi sfrecciano nell’aria come sciami di api
sempre uguali e non ci fai più caso.
Arrivano i caccia come spettri invisibili
oltre le nubi.
Benedicono le anime sante e pure
i figli di puttana.
Rimestano a fondo il suolo, finché non ce n’è più.
Armi oscene, vendicatrici, sacre.
Più veloci del futuro, scintillanti rasoi,
recidono ogni ricordo di antiche civiltà.
Certe volte il tempo si ferma
si ferma nelle orecchie dopo uno scoppio…
al tramonto, dopo il suono protratto di una sirena
o dopo il canto lamentoso dei muezzin.
E poi luci verdi, bianche, rosse, fumo
E qualche casa crolla giù da qualche parte,
un rifugio non è più sicuro.
I maiali, i cani, le galline in strada
sembrano uomini spenti.
La guerra non arriva alle colline,
lì sui monti fra cedri e vigneti
dove alle fonti d’acqua nascosta
lui e Jamila andavano in silenzio
per amarsi, dimenticare tutto.
Ma oggi il sole è esploso lì
sotto i suoi occhi
e grida di uomini a pezzi
in un sol corpo riunite
implorano un dio, qualcosa…
E via i mattoni, i ferri, il cemento,
col sudore e la polvere
ad impastarti gli occhi, a supplicare
“ti prego, non guardare !”
creature grigie, dormienti e scomposte
indisciplinate nei loro giochi d‘infanzia.
Uno, due, e più e più e ancora.
Perché?
Quando finiranno?
Non hanno occhi quelle creature
che Allah in qualche modo ha chiamato a sé…
Sarà questo il pasto che Jahvè darà
ai suoi morti in guerra?
Mohamed anche lui era cieco
dai suoi occhiali lordi di gesso, sangue
e polvere da sparo.
Qualcuno lo chiamò:
-Ehi Mo! Mohamed, tuo figlio è nato.
Nell’aria quell’odore non sapeva più di niente,
né di viti, né di pini, né di acque all’incenso,
né di donna…
Mohamed domandò con calma:
-Dove siamo?
-Ehi Mo! Tuo figlio è nato, ricordi,
siamo a Cana in Galilea!
Mohamed ricordò un ricordo flebile
come un sospiro.
Lui la conosceva la storia di Cana,
non era quella.
A Cana giovani avevano fatto festa,
un uomo dai capelli rossi aveva dato loro
da bere dell’acqua che divenne vino…
un uomo che era nato sotto il presagio di una stella
un uomo che moriva perché sudava sangue…
Mohamed si guardò: anche lui sudava sangue,
gli tremavano le mani.
Il bambino o ciò che ne era stato
pesava come un tronco d’ulivo spezzato,
in braccio a lui…
Il presagio di una nuova stella si abbattè.
Una stella intelligente lanciata da un uomo stupido
con gran fragore…
Mohamed si allontanò con quel bambino in braccio
E iniziò a ridere di una risata insana…
-Ehi, Mo! Mohamed vieni qui!
Tuo figlio è nato, non vuoi dargli un nome?
Mohamed era sordo, Mohamed era cieco,
suo figlio era nato con lunghi capelli rossi.
Era sicuro.
Sua moglie si chiamava Maria
e lui cercava un asino per tornare a casa.
Rispose piano, senza voltarsi:
-Mio figlio, chiamatelo Jesus.
Poeta debole
Vorrei essere poeta debole
come frammento di stella
caduto sulla terra,
briciola di creta che rotola via
nella luce dell’alba
fuori della bottega
di un artigiano addormentato.
Zolla che sente tutto il peso su di sé
del contadino che fra un attimo
le taglierà la testa.
Vorrei essere così come sono
e dire basta, e pure…
non fermarmi mai
nel mio peregrinare
d’Itaca in Itaca, di paesi
e donne e uomini del mondo
che una volta erano anch’essi bambini.
Vorrei non fermarmi mai
e nel mio cammino rimpicciolire un po’
come chi veda tutta la terra
da lontano, come chi guardi
in segreto dalla luna.
Così adesso fischia la teiera
qui in cucina, come treno
di immaginazioni pazze e gioconde,
come risa di fanciullo nella scuola,
come corse infinite di aquiloni,
come echi riecheggianti
dentro ai chiostri,
come ombre di monaci scomparsi.
E mi figuro, come sogno d’altri tempi,
adesso in Sicilia, san Giovanni degli Eremiti.
Adesso voglio essere graniti umidi e lisci,
fiori di zagara, accenti arabi
e ruscelli d’acqua, compagni di poesie
e di affanni amorosi.
Adesso vorrei essere legno
di fibra intensa e profumata
spettatore di genti, secoli e generazioni.
Adesso sono un po’ più vecchio
e un po’ più saggio.
Adesso forse sono poeta debole
e risuono liscio e felice
del fuoco del mio canto
nel tepore fresco di una
stanza di scirocco.
Due poveri e le stelle
I mentecatti sono nelle vie
buie, bagnate, strangolate e strette
nel cemento e dentro al fumo
dei pensieri dei più sani.
SPLEEN come DRIIIN
CIAK come CLANG
andranno muti e sordi
dietro alle loro catene.
BIFF come BLOCK
PLUFF come CLOCK,
allontano con un dito
la lancetta del che or’è.
FLUFF come BUM!
Ziff come AIR,
se cado dentro l’acqua
perdo tutto ciò che ho.
VIN come VAN
TREN come TANT,
aspetta non andare,
ho un regalo per noi due.
ATT! Come FERM!
SCEM COMBATTENT
Lì in fondo al muro veccio
che la soffiano dal buco
PIFF come FLUFF
Blanc es lo zìucr
La notte neve-blu
è lo zucchero dal ciel
PLINKOR fa PLONK
gocce d’oro ancora giù
oh ascolta com’è bel
siam due poveri e le stel.
Nin come NAN,
bel es la mam,
‘sto muro caldo caldo
ci viene da Gesù.
FIUUU…volan via le luci con le fogl!
È notte tardi tardi volan via con gli usignol
PAN che fa CROCK,
Mi so’ un po’ TOK…
Il muro è caldo, è casa,
è un forno, e forse darà il pane,
e forse un nuovo giorno…
Poesia di sinistra
È un mare duro, un tetto sottosopra,
un sentimento dal blu al nero,
denso, compatto.
Un tonfo e mille passi dietro al letto.
Detto? Cosa?
Povero ometto, e pescatori ossuti e
teneri e abbrutiti e senza età sul volto.
Lui dall’alto gli avrà per sempre tolto
il senso a tutto.
Proletari unitevi nei muscoli d’acciaio,
una qualche intelligenza vi cerca,
al di là del vento e degli spazi eterni.
Abbagliati o ciechi andrete,
coraggiosi o insani,
accoglierete gli ultimi bagliori
o il nero degli abissi.
L’ultimo giorno
I crocifissi sono spighe nel vento di settembre.
Membra gialle si levano al cielo, storte, morte.
Non sente i sibili, signore?
Provi a toglier via il cappello, per favore.
Non guarderò negli occhi, non si preoccupi,
ho già visto e ho già dato qualcosa in cambio
nello spettacolo passato.
Adesso sono una maschera che ride, sto qui e
non vedo altro che quel che volete.
Dite, avete almeno un soldo per la prece?
Pregare costa caro ai nostri giorni.
Venite, vi accompagno in questo giro,
che i martiri son tanti e i santi pure,
almeno quanti i demoni e i blasfemi
che finirono qui dentro.
Avrà solo la mia voce per compagna
e guarderà, non si spaventi, dai fori d’osso
la maschera che inganna.
Cosa vuole, cerca o reclama a gran voce?
Il fumo di parole, ragionamenti illustri e duri
come patacche d’ottone?
Shhh. Silenzio!
Il grano ondeggia piano, irto
di aculei dorati e frangibili.
Non polvere, non sangue,
ma forme d’altro scibile.
Io e te
Che cosa siamo noi?
Sì, io e te, se non passeri
o tortore in cerca di riparo?
Ma se io ho una radice in te
e tu ne hai una in me,
saremo noi il nostro rifugio,
saremo pini piantati
nel grembo della terra
che è l’origine di tutto.
Avremo il sole e piogge
giovani d’autunno.
E le teste squassate dal maestrale
urleranno frondose di parole
le paure del cuore
e il gelo dell’inverno.
E se l’estate non dovesse venire mai,
mia cara compagna,
allora benedirò l’acqua
che ci manda il cielo
e accarezzerò coloro che
intorno a me vissero felici:
gli amanti e i loro baci
gli uccellini dentro al nido
e le cicale e le formiche
e il mondo inconsapevole.
E se l’estate
non dovesse mai arrivare
io, che ho il ceppo rugoso e duro,
e le radici artritiche disperse
e disperate sulla zolla
benedirò i rintocchi
lenti e dolorosi del boscaiolo
e la sua scure
ed i sensi che svaniscono
e i colori non più nostri.
Sta scritta in fondo
in ognuno di noi
la storia concentrica
dei giorni e delle colpe.
E’ l’eco muta
del seme che fummo,
conficcata come un chiodo
dentro al legno
dal Creatore.
Odor di mare
Sentirsi fragili,
nell’assurda, dolce sospensione
del mattino.
Forse la luce,
forse la voglia di esser cercato…
da te.
Come avessimo interrotto un filo,
devio e schivo le interferenze
delle altrui attenzioni e attendo
un mondo, un gioco…
Ciò che per altri è la via
per me ormai è il nulla,
sgretolato in grossi grani di sale,
terra, argilla, polvere di tufi.
Sabbia,
in cui cercar rumori di conchiglie…
e odor di mare.
Ti incontro
Ti incontro, dopo vite vissute,
lunghe passeggiate,
spiagge abbandonate…
Cosa c’è nel fondo dei tuoi occhi…canzoni?
Io le ho ascoltate
mentre eri in silenzio,
seduta davanti a me…
E tu…non lo sai!
Breve nota biografica
Guido Tobia è nato a Erice-Trapani il 14 marzo 1974. Dopo aver conseguito la maturità classica col massimo dei voti, si è laureato in odontoiatria e protesi dentaria presso l’università di Palermo. Esercita la libera professione a Milano e a Lecco.
Studioso di letteratura, ha scritto molti racconti, alcuni inediti, altri già pubblicati.
Questa è la prima silloge di poesie che ha deciso di dare alle stampe.
E’ residente a Trapani, ma è domiciliato a Milano.
Indirizzo di riferimento:
91100 Trapani via Nino Bixio, 81
tel. 092324259
cell. 3476161477
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